
Il fallimento secondo la cultura italiana
Il fallimento all’italiana potrebbe essere la definizione che individua la struttura di pensiero che in altri paesi viene combattuta attraverso il sostegno
Il fallimento secondo la cultura italiana
“Forma mentis all’italiana” potrebbe essere la giusta definizione che individua la struttura di pensiero che in altri paesi viene combattuta attraverso il sostegno, fornendo le competenze per capire come progredire.
Parliamo della paura legata al, possibile ma non scontato, fallimento.
Lo storico Scott Sandage nel suo libro “Born Losers” (Harvard University Press, 2005) sostiene che «Nel corso del tempo il fallimento si è trasformato da un fatto ad un’identità» anche per questo motivo la paura di sbagliare o l’errore effettivo vengono considerati fattori importanti da studiare per imparare mentre in Italia, spesso e volentieri, vengono appositamente usati per evitare che si possa procedere verso il cambiamento che sia questo personale o lavorativo.
Si premette che avere timore è umano anzi la paura, nei giusti limiti, è necessaria al fine di non commettere atti sconsiderati.
Le cose, però, cambiano se questa prevale su qualsivoglia azione, potenzialmente migliorativa, della nostra vita.
La stessa cosa è valida nei confronti delle “troppe riflessioni”.
Come per la “sana paura” anche la riflessione deve avere un limite.
Il fallimento secondo la cultura italiana
Mi torna alla mente il caso di un mio conoscente che per paura di sbagliare, quindi in continua riflessione sul da farsi, non riuscì mai a realizzare l’idea che aveva di aprire un’attività commerciale che vertesse prevalentemente sulla sua capacità di realizzare manufatti.
Avanti, quindi, fiumi di parole a sprecare dai grandi motivatori (americani) che ogni giorno dai loro canali social lanciano parole di fuoco verso quelle anime titubanti che, aspettando il tanto sopravvalutato momento giusto guardano la vita scorrere davanti ai loro occhi.
Allora cercando di capire perché per noi italiani sia così difficile comprendere il vero significato del “fallimento”, e anche qui potremmo parlare per ore perché “fallimento” cambia di significato se inserito in un contesto di crescita, cerchiamo coraggio da tutti gli esempi che arrivano, anche, dalla letteratura americana che raccontano di uomini e donne che per raggiungere il successo sono passati inevitabilmente per il temuto fallimento.
Lo stesso Papa Francesco nel 2019 sottolineò come questa avversione verso “la caduta” o la difficoltà sia tipica dei cristiani specie se appartenenti a quella parte di mondo che accoglie l’Europa, citando il passo della Bibbia in cui il popolo eletto rimprovera Mosè per la difficoltà avuta dopo la liberazione.
Se guardiamo oltre oceano però, in particolare nella Silicon Valley, il motto è “fallire velocemente, fallire spesso”, non perché amino particolarmente buttare tempo e denaro ma perché c’è la consapevolezza che solo l’errore può insegnare ed essere la spinta sulla strada verso qualcosa di buono.
Certo il governo Conte nel 2020 ha fatto quanto in suo potere, almeno dal punto di vista giuridico, cercando di eliminare dall’immaginario collettivo la brutta visione che la parola in oggetto porta con sé e sostituendo il termine “fallimento” con “liquidazione giudiziale” auspicando, quindi, la perdita di quell’aurea negativa e di discredito che si crea nel momento in cui una società è costretta ad affrontare un momento sfortunato e non prevedibile.
Ma, forse, il risultato non è stato quello sperato perché per la cultura italiana lo slancio in termini di coraggio e di impegno finanziario è valido solo quando preceduto dal nome di un grande brand e poco interessa se il grande brand inizialmente ha dovuto fare prestiti, finanziamenti, ridimensionamenti o, addirittura, cambi di casacca per evitare il fallimento l’importante è non sapere perché’ come recita un famoso detto popolare “occhio non vede e cuore non duole”.
Il fallimento secondo la cultura italiana
In sintesi quello che nel nostro paese dovrebbe cambiare è la mentalità che spesso acceca le vere qualità che se messe in moto possono darci grandi soddisfazioni imparando a vivere l’eventuale fallimento, perché non è scritto da nessuna parte che sia obbligatorio, come un punto di ripartenza.